Ho avuto il piacere di intervistare Abi Kobe Zar, dopo essere stati relatori insieme l’8 marzo del 2021. Abdul Zar è un attivista italo-ghanese per i diritti umani e avvocato specializzato in diritto internazionale.
Sapendo del suo romanzo appena uscito, Pane e acqua zuccherata. Ho deciso di porgli alcune domande.
Parlaci di Pane e Acqua zuccherata. E’ il tuo primo lavoro?
Sì Pane e Acqua Zuccherata è il mio primo romanzo. È un lavoro che nasce dalla volontà di raccontare la vita. Volevo raccontare la straordinaria normalità dal punto di vista di una persona nera all’interno di un paese bianco. Ci sono implicazioni economiche, sociali e politiche che derivano dall’essere parte di una minoranza e proprio perché tale la maggior parte delle persone non riesce a capire cosa si possa provare (in questo caso) e portarsi addosso un colore così meraviglioso a cui il resto della società (consapevolmente o meno) associa cose negative. Pregiudizi sopravvissuti negli anni, radicati nella mente di chi ha deciso di vedere il colore prima della persona.
Interessante il fatto che si scopra di essere nero solo quando si viene riconosciuti tali per differenza (un’esperienza che riguarda anche me, come meridionale, quando ho iniziato i miei studi a Milano).
Parlaci di quest’esperienza, se vuoi
Credo che la necessità di differenziare nasca laddove ci sia una maggioranza che vuole creare un confine, una divisione, un noi e un voi.
Mi spiego meglio. La diversità è un valore ed ognuno di noi è in qualche modo diverso dall’altro per una serie di ragioni. Tuttavia, io ho scoperto di essere nero una volta arrivato in Italia non perché prima non sapessi di avere un colore diverso rispetto agli europei, ma perché da dove venivo non importava. Non era rilevante. Non mi ponevo questioni. Non me ne ponevo nemmeno appena arrivato finché non ho capito che quella mia caratteristica innata avesse un’importanza fondamentale per alcune persone. Era importante per definire chi fossi, per distinguermi dagli altri e sufficiente per ritenermi sbagliato nel posto sbagliato.
Quindi in realtà scoprii più semplicemente il peso negativo che il mio essere nero aveva in questa parte di mondo.
Essere discriminati per una caratteristica estetica ti accomuna con tante minoranze:
persone non binarie, diversamente abili, di peso non conforme.
Pensi che ci siano i presupposti per un attivismo intersezionale?
Credo molto nell’essere alleati e nel supporto attivo. La discriminazione è intersezionale quindi lo deve essere anche l’attivismo. Tuttavia credo che essere buoni alleati significa riconoscere quando sia ora di passare il microfono, di ascoltare attivamente e di supportare senza protagonismo. Il mondo delle micro aggressioni, ad esempio, è qualcosa che solo chi vive le discriminazioni quotidiane può spiegare per bene. Noi abbiamo il dovere di ascoltare, di credere e di attivarci per cambiare tutto ciò che abbiamo interiorizzato prima ancora di pensare di essere di supporto.
A volte è difficile far capire alle persone che crescere in una società del genere ti porti ad interiorizzare una moltitudine di pensieri e comportamenti dannosi per diverse minoranze. Io ho avuto pensieri omotransfobici e grossofobici senza nemmeno rendermene conto. È stato doloroso prenderne coscienza, accettarlo ed iniziare un percorso di cambiamento e crescita. L’attivismo intersezionale deve essere consapevole e deve partire dal lavoro su stessi per poter capire a fondo e meglio chi stiamo supportando.
Diventa poi tutto una questione di lotta civile, perché chi discrimina l’omosessuale è più portato a discriminare anche i neri, o le donne, ad esempio: Credo sia più facile, in questo ottica, concentrare le energie in un’unica direzione stringendo alleanza.
Sono anche consapevole che questa sia solo la teoria, la pratica ahimè ad oggi risulta un po’ più complessa.
Ha un ruolo importante anche la madre: com’è la figura della madre/donna nella cultura d’origine del protagonista?
Faccio una premessa: generalmente si sa poco o niente sulla cultura di paesi non occidentali. Questo è comprensibile, ma ciò che non lo è invece è la disinformazione e la quantità di pregiudizi che riaffiorano quando si parla del continente africano. Molte civiltà erano basate sul matriarcato, con la donna come figura centrale ed essenziale della società. Le cose sono cambiate dopo secoli di colonialismo. Tuttavia c’è ancora tanta traccia di questa cultura che ha resistito nei secoli.
La madre del protagonista incarna perfettamente la forza e la determinazione delle donne cresciute non per essere seconde agli uomini, ma per badare a se stesse e portare avanti la famiglia, spesso da sole. Non esiste il concetto dell’uomo che lavora e la donna che sta a casa ad accudire i figli. La madre del protagonista affronta diverse difficoltà ma riesce sempre a trovare la soluzione per andare avanti e crescere i figli.
Questa sua forza e resilienza lo trasmetterà poi al protagonista.
Vuoi lasciare un messaggio a chi vuole comprare il tuo romanzo?
A chi vuole comprare il mio romanzo voglio dire che questo libro è per tutti, grandi e piccoli, di qualsiasi etnia e di qualsiasi credo. C’è vita vera e ci sono tutti i sentimenti che conosciamo nella maniera più vera ed intensa possibile
Credo molto nell’empatia e spero che chiunque prenda in mano quel romanzo si possa identificare in qualcosa, fosse anche solo in una pagina di racconto.
Alla fine quello che davvero ci accomuna sono i sentimenti e sono ciò che metto al centro di tutto il romanzo con un punto di vista diverso dal solito.
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