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Gruppi di studio e Concorso Scuola: luci e ombre – di Attilio Galimberti

Attilio Galimberti è docente di Lingua e Letteratura Inglese nelle scuole di Stato da ormai quasi 40 anni. Nella sua carriera ha anche lavorato come Tutor Coordinatore e Docente a contratto nei due percorsi di TFA Inglese presso l’Università degli Studi di Bergamo.

E’ formatore ANILS per i corsi di preparazione ai concorsi docenti di lingue, in corsi ministeriali per la preparazione linguistico-metodologica dei docenti CLIL e in corsi per i docenti neoassunti sulle learning technologies.

E’ autore di testi e materiali didattici per l’insegnamento della lingua inglese nelle scuole secondarie di primo e secondo grado e del manuale “Il colloquio in inglese” per la preparazione alla prova orale d’inglese dei concorsi docenti.

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Attilio Galimberti

Q1. Cosa pensi delle recenti forme concorsuali di reclutamento docenti?

L’organizzazione dei concorsi per docenti è sempre stata molto macchinosa in Italia. Gli aspetti critici sono tanti: il tempo che intercorre dalla pubblicazione del bando all’inizio del concorso stesso (talora anche per i repentini cambi di Governo nel nostro Paese); la difficoltà nel reperire e costituire le Commissioni d’esame; le frequenti modifiche nella tipologia delle prove concorsuali.

In particolar modo, risulta sempre più difficile costituire le Commissioni, perché il lavoro e l’impegno richiesto non corrispondono a una retribuzione dignitosa e alla responsabilità loro affidata (decidere del futuro professionale di altri). Ricordo, ad esempio, che per gli esami orali la Commissione deve innanzitutto preparare un numero di tracce pari a tre volte il numero dei candidati. Questo lavoro preliminare, rapportato alle classi di concorso con un ingente numero di candidati (come può essere Tecnologia alla secondaria di primo grado, Inglese alla secondaria di primo e di secondo grado, le discipline umanistico-letterarie e altre discipline scientifiche), è sicuramente alquanto gravoso. E’ necessario anche ricordare che, spesso, gli orali si svolgono nei mesi estivi, periodo in cui sia i Commissari che i candidati hanno appena terminato un anno scolastico.

Un altro problema riguarda la tipologia delle prove concorsuali. Da molti anni i concorsi statali per docenti sono di due categorie: i concorsi ordinari (o ‘concorsi a cattedra’) e i concorsi straordinari (o concorsi riservati, percorsi abilitanti speciali, ecc.). Nel tempo, le differenze sostanziali tra i due sono sempre state: un valore aggiunto a chi supera un concorso ordinario, consistente in 12 punti in più che i docenti avranno poi nelle graduatorie d’Istituto, graduatorie che tutte le scuole devono redigere ogni anno per individuare i ‘perdenti posto’, in caso di diminuzione delle classi e quindi delle cattedre. Una (talvolta apparente) semplificazione delle prove concorsuali per i concorsi straordinari, dato che spesso sono riservati a docenti che hanno già un certo numero di anni di insegnamento e quindi hanno – o dovrebbero avere – già una certa esperienza didattica rispetto ai neolaureati.

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Un’altra differenza sostanziale, negli anni, ha sempre riguardato quante e quali prove i candidati devono sostenere. Nella maggior parte dei concorsi vi è ovviamente una prima prova scritta. Tale prova, però, negli anni è cambiata continuamente. La prova che feci io ormai quasi quattro decenni fa, consisteva nello svolgere un tema sui contenuti disciplinari, senza alcun riferimento didattico-metodologico. In decenni più recenti si sono alternate poi domande a risposte aperte, in cui rientrava anche il saper fare lezione, a domande con risposta a scelta multipla. In questo secondo caso, la correzione automatica informatizzata delle prove ha consentito, per lo Stato, di guadagnare tempo e risparmiare denaro nel non dover costituire una Commissione che dovesse correggere manualmente tutti gli elaborati. Nel primo caso, invece, la Commissione era (è) ancora necessaria, dato che si devono correggere centinaia di elaborati scritti.

Le due tipologie (domande a risposta aperta o quesiti a scelta multipla) chiaramente presentano, per i candidati, vantaggi e svantaggi. Nella prima, se da un lato il candidato ha più possibilità di dimostrare la propria competenza contenutistica e didattico-metodologica, dall’altro risentirà della soggettività con cui le varie Commissioni valuteranno gli elaborati, pur chiaramente dovendosi attenere a una griglia di valutazione ministeriale. La seconda tipologia, invece, da un lato presenta la massima oggettività di valutazione, ma dall’altro presenta spesso il difetto che la scelta multipla presenta, cioè alternative nelle risposte non sempre così nette o, addirittura, errori nella formulazione del quesito stesso o di alcune opzioni. Proprio recentemente, sono stati “ripescati” parecchi candidati in tutta Italia, dopo che al Ministero sono stati segnalati diversi errori nei quesiti. Dato che il voto minimo per superare la prova scritta corrisponde a 70/100, è evidente che quei candidati inizialmente non ammessi all’orale perché avevano conseguito un punteggio di 68 o 66, hanno potuto rientrare grazie alle rettifiche, superando così anche la delusione (o la rabbia) di non essere arrivati per pochissimo alla soglia minima di accesso all’orale.

Da ultimo, ma non meno importante, è talora l’accavallamento di più concorsi e la disparità che si crea tra regione e regione. Proprio in questo periodo, in tutta Italia sono in atto sia il concorso ordinario sia quello straordinario. Ciò che ha scatenato prima di tutto tantissime polemiche tra gli insegnanti, è stata la differente struttura dell’esame orale dei due concorsi: nell’ordinario si hanno 24 ore di tempo per preparare la presentazione da esporre alla Commissione secondo la traccia estratta, mentre nell’attuale straordinario il candidato estrae la traccia e contestualmente deve “improvvisare” una lezione. Evidentemente, dato che la categoria dei docenti negli anni è entrata in ruolo con formule concorsuali sempre diverse, c’è chi si scandalizza del fatto che sia dato un giorno intero per preparare una prova orale, per ovvi motivi. C’è anche chi giustamente afferma, però, che molto spesso i docenti si preparano le lezioni prima di andare in classe ogni giorno.

Al di là di questo aspetto, le situazioni che si sono create nelle regioni italiane sono diversissime: in alcune il concorso ordinario è terminato prima della scadenza per iscriversi al concorso straordinario. I vincitori sono quindi già stati assegnati alle sedi dove svolgeranno l’anno di prova, per essere immessi poi a tempo indeterminato. Evidentemente, quindi, questi docenti non si sono iscritti anche al (costoso) straordinario, che prevede anche un successivo corso universitario a pagamento. In altre regioni, invece, le prove orali del concorso ordinario sono ancora in atto. Per sicurezza, quindi, molti di questi candidati si sono iscritti anche al concorso straordinario. Ciò significa che ci possono essere regioni in cui i candidati, per una stessa classe di concorso, stanno svolgendo contemporaneamente sia la prova orale dell’ordinario, sia quella dello straordinario. Ma ci sono anche regioni in cui, per la difficoltà di costituzione delle Commissioni, non è ancora partito né l’orale dell’ordinario né quello dello straordinario. Io insegno inglese: immaginate la difficoltà concettuale di spiegare dei procedimenti così macchinosi a miei colleghi o amici britannici, statunitensi o australiani?

Attilio Galimberti: cosa studiare per la prova orale d’inglese

Q2. Quali sono a tuo avviso i metodi migliori per prepararsi con successo a un concorso?

Chiaramente non c’è una ricetta predefinita. Innanzitutto le conoscenze contenutistiche certificate da una laurea non sono sufficienti per superare un concorso docenti. Conoscere contenuti non significa saper trasmettere. E’ necessario quindi, oltre a una solida padronanza dei contenuti disciplinari oggetto dei programmi di insegnamento (talora troppo vasti e con qualche argomento ormai obsoleto), essere competenti nell’uso di diverse metodologie. In una prova concorsuale orale, i due aspetti si devono fondere armoniosamente. Faccio un esempio: una cosa è insegnare inglese in un liceo linguistico, dove si prevede che l’utenza abbia uno spiccato interesse verso lo studio delle lingue e relative letterature, altro è insegnare inglese nella formazione professionale che, purtroppo solo in Italia, è considerata in Italia la ‘scuola degli ultimi’ ed è frequentata quindi da una maggioranza di studenti con svantaggi di vario genere.

Il futuro insegnante di una disciplina che si colloca quindi in più percorsi d’istruzione deve disporre di una cassetta di attrezzi da cui saper estrarre, nella situazione e nel momento in cui si trova, gli strumenti adeguati per contribuire al successo di ogni studente. Nella scuola italiana, purtroppo, si risente ancora della vecchissima diatriba tra cultura umanistica e cultura tecnico-scientifica. A mio avviso, indipendentemente dalla disciplina che si insegnerà, il docente del XXI secolo deve contribuire a ridurre il più possibile il divario tra le due culture, dato che in una società ‘liquida’ le conoscenze, abilità e competenze dei futuri cittadini e lavoratori devono essere il più possibile trasversali.

Ritornando ai metodi, il tutto dipende dall’offerta formativa del momento. Mi spiego meglio: quando per diventare insegnanti lo Stato italiano aveva istituito le Scuole di Specializzazione all’Insegnamento Secondario (SSIS), che in Lombardia si chiamavano Scuole interuniversitarie lombarde di Specializzazione per l’Insegnamento Secondario (SILSIS), chi desiderava dopo la laurea diventare docente doveva frequentare un corso biennale, la cui offerta formativa prevedeva corsi universitari specifici nell’ambito psico-pedagogico, ma anche laboratori didattici affidati a docenti esperti provenienti dalla scuola. In più, i corsisti dovevano svolgere un periodo di tirocinio nelle aule scolastiche, accolti e coadiuvati da docenti tutor. Questi percorsi, che prevedevano anche una selezione in entrata e non erano certo economici, sono durati una decina d’anni, dal 1999 al 2009 e si concludevano con l’esame di abilitazione svolto in Università. Occorreva poi sempre il concorso ordinario per vincere la cattedra. Ancora oggi riconosco colleghe e colleghi che provengono da questo percorso formativo: non solo sono molto preparati nei contenuti e negli approcci didattico-metodologici, ma generalmente molto motivati alla professione docente.

Come sappiamo, purtroppo, le idee intelligenti durano poco nel nostro Paese. Dopo l’ennesimo cambio di Governo, le SISS-SILSIS vennero abolite e negli anni accademici 2012-2013 e 2014-2015 furono sostituite con i percorsi di Tirocinio Formativo Attivo, sempre gestiti dalle Università con la collaborazione di docenti esperti della scuola. Praticamente una formula ridotta (un anno scarso invece che due) delle SISS, tali percorsi avevano mantenuto ciò che risulta essere fondamentale per chi desidera diventare insegnante: il tirocinio in classe, in cui si viene osservati dal docente tutor accogliente, e si osservano le dinamiche di classe che poi si analizzano nei laboratori didattici con i tutor coordinatori in Università.

Anche questi percorsi per la scuola secondaria di primo e secondo grado vennero soppressi dopo quei due cicli (attualmente mantenuti solo per la scuola primaria). Si sarebbero dovuti sostituire con i percorsi FIT (Formazione Iniziale e Tirocinio), in realtà mai partiti e realizzati solo da vincitori di un concorso riservato a docenti già abilitati ammessi direttamente al terzo anno, che svolsero l’anno di formazione e prova previsto per i neoassunti. Il governo Conte abolì poi anche i FIT e stabilì che concorsi periodici avrebbero fatto conseguire l’abilitazione all’insegnamento.

In un Paese così disorientato e disorientante nella formazione in entrata dei docenti, è evidente quindi che l’offerta di corsi per prepararsi ai concorsi docenti si sia parcellizzata al punto tale che chi si affaccia al mondo della scuola non sappia talvolta districarsi tra le varie proposte. Come in tutti i settori, ovviamente si trovano corsi di ottima qualità e altri di qualità dubbia. E’ anche proliferata contemporaneamente la produzione di manuali per la preparazione ai concorsi, anche in questo caso di livello qualitativo diversificato.

Per prepararsi con successo a un concorso, il mio consiglio quindi è quello di rivolgersi a enti e associazioni accreditate o, ancora meglio, fidarsi del passa-parola e delle recensioni positive date da chi ha già precedentemente usufruito di tali servizi. Ad ogni modo, l’ingrediente fondamentale per superare con un successo questi concorsi è prima di tutto la motivazione all’insegnamento, che non può più essere considerata una ‘missione’. Il docente è un professionista, e come tale andrebbe considerato dalla società. Oltre alla motivazione, si deve anche sapere che in quarant’anni e più di insegnamento, occorrerà sempre tenersi aggiornati, anche senza un obbligo contrattuale, semplicemente perché le generazioni di studenti cambiano repentinamente.

E’ interessante vedere come nelle presentazioni agli esami orali, spesso venga rapprsentata una classe della ‘Scuola del Mulino Bianco’, in cui le attività sono perfettamente programmate in scansioni temporali definite da un orologio svizzero, con la dettagliata descrizione di attività didattiche da realizzarsi e con le opportune differenziazioni per gli studenti BES, dimenticando però che la realtà poi non sarà sempre così rosea. Una cosa è ‘ipotizzare un contesto classe’, un’altra è effettivamente entrarci e saper poi gestire tutte le variabili indefinite, come quella della gestione disciplinare, delle dinamiche di classe, della frustrazione derivata dal massimo impegno del docente, più evidente nei primi anni, e dal minimo risultato ottenuto, fino all’accumulo sempre crescente dei documenti burocratici e ai rapporti non sempre facili con le famiglie degli studenti.

Attilio Galimberti: cosa studiare per la prova orale d'inglese

Q3. Qual è il ruolo dei social nella preparazione dei candidati e quali sono vantaggi e svantaggi dell’uso dei social per tale preparazione?

La mia esperienza pregressa di formatore in ambito universitario e tutor accogliente come docente di scuola secondaria superiore si è svolta in periodi in cui i social non erano entrati in modo così preponderante in molti aspetti della società. Solo da pochi mesi ho deciso di entrare in questo mondo, grazie a Nath di Irriverender Blog che mi ha introdotto in un gruppo online di docenti che si stavano preparando al concorso per A060 Tecnologia. In questo gruppo ho proposto dei momenti informali di pratica della lingua inglese, grazie alla mia esperienza decennale di docente ma soprattutto a quella di commissario in parecchie classi di concorso (inizialmente definiti “membri aggregati ai concorsi”) e alla conseguente pubblicazione di un manuale specifico per la preparazione a tale fase finale dell’esame (“Il colloquio in inglese”, edito da Pearson).

La funzione di questi commissari ‘aggiunti’ ai due docenti della disciplina specifica è quella di verificare, in una manciata di minuti, il livello di conoscenza della lingua inglese. Secondo la normativa, tale livello dovrebbe corrispondere al B2 del Quadro Comune Europeo di Riferimento per le Lingue. In realtà sono ben pochi i candidati che dimostrano di aver raggiunto tale livello, ma sono anche comprensibili le motivazioni: non tutti hanno studiato bene la lingua a scuola e soprattutto magari non hanno mai fatto un’esperienza di studio o di lavoro all’estero; non tutti, inoltre, amano lo studio delle lingue e alcuni vivono questa parte d’esame come un’imposizione ministeriale; altri, infine, non ne ravvisano l’utilità ai fini dell’insegnamento della propria disciplina. In realtà, l’unica motivazione potrebbe essere quella di sfruttare le proprie competenze linguistiche per diventare docente CLIL, metodologia nota a molti docenti che frequentano corsi online per conseguire attestati che danno punteggio nelle graduatorie da supplenti, ma che poi non operano effettivamente come docenti CLIL nella scuola.

Questa mia prima esperienza di mettere a disposizione le mie competenze in un gruppo social mi ha fatto conoscere un mondo che mi era sconosciuto, cioè quello della formazione informale. In questa tipologia di formazione (che si distingue da quella formale e da quella non formale), si apprende da contesti non scolastici, in quanto si tratta di formazione non impartita secondo un programma di studio preimpostato. In pratica, comunità di apprendenti si formano spontaneamente in base a determinati criteri, che vanno dal gruppo di candidati che dovrà sostenere l’esame con la stessa Commissione, a gruppi di ‘aiuto tracce’, a gruppi che si scambiano informazioni più generali. La mia esperienza è stata quella di fornire a questi candidati suggerimenti e materiali per praticare la lingua inglese il più possibile, mediante link di video o documenti presenti nel web, o ‘stimoli’ e occasioni comunicative da me direttamente creati. Non c’è nulla di più utile per l’apprendimento di una lingua, infatti, di favorire la socializzazione tra apprendenti. Recentemente, ho anche quindi suggerito la creazione di piccoli gruppi, in cui ho assegnato delle semplici tematiche solitamente oggetto di colloquio in inglese alla prova orale del concorso docenti, ogni tanto anche con la mia presenza nel gruppo.

Mi sono così divertito in questa esperienza, che ho deciso anche di creare un semplice spazio web: il Padlet ‘Prova orale d’inglese ai concorsi’, fruibile al link https://padlet.com/galimbat/COLLOQUIO_INGLESE Durante l’estate ho anche poi voluto creare un gruppo specifico per docenti di lingua che si stanno preparando per i concorsi ordinari e straordinari per insegnare lingua e letteratura inglese e anche in questo caso ho realizzato un Padlet (‘Prova orale AB24 AB25’), raggiungibile al link https://padlet.com/galimbat/PROVA_ORALE_AB24_AB25 . In questo gruppo ci si scambiano consigli, materiali didattici, video tutorial relativi a come insegnare la lingua inglese e i membri più attivi caricano delle presentazioni di prova, che tutti possono commentare, e la loro presentazione utilizzata all’esame.

La mia esperienza di tutor in ambito universitario e le competenze acquisite da un Master sui processi di tutoraggio che ho conseguito anni fa, mi sono servite per ‘governare’ positivamente questi gruppi. Come è facile immaginare, i gruppi social, come i gruppi nella vita di tutti i giorni, sono formati da tante tipologie di umani, con tutti i pregi e i difetti che ognuno di noi ha: si va quindi da relazioni costruttive basate sulla cooperazione, sulla condivisione, sull’aiuto e assistenza reciproca, a comportamenti e atteggiamenti meno efficaci, quali le ‘punzecchiature’ personali, le promesse non mantenute, le critiche non costruttive, le invidie personali, ecc. Devo dire che in questi due gruppi che gestisco finora ci sono stati pochissimi episodi spiacevoli, al contrario di altri che avevo visitato e da cui mi sono subito tolto per l’esagerato tono polemico, le polemiche gratuite, la presenza di elementi provocatori o di disturbo e, quindi, lo spirito poco costruttivo che si respirava. Tra tutti i comportamenti positivi – e ce ne sono tanti – spicca in particolar modo la solidarietà: quando tutti vivono una stessa situazione, solitamente di disagio o di apprensione, la solidarietà scatta naturalmente. Non a caso, le amicizie più vere nascevano tra i commilitoni in guerra; e dalla ‘reclute’ al ‘reclutamento’ e al ‘contingente’… è un attimo!

Ovviamente non bisogna dimenticare che tutti questi docenti che popolano i gruppi social sono comunque in competizione: tutti concorrono per vincere un concorso e sono desiderosi di posizionarsi nelle fasce più alte della graduatoria finale. Ciononostante, ci sono molte persone che ‘sgomitano’ di meno e, pur non essendosi mai visti fisicamente una volta in presenza, contribuiscono al buon funzionamento del gruppo, ognuno chiaramente in base alle proprie disponibilità di tempo.

Il fattore ‘tempo’ è un’altra caratteristica di questi gruppi social. A differenza delle istituzioni scolastiche, non c’è mai un orario di apertura e di chiusura. Ciò significa che c’è sempre qualcuno che scrive anche in orari impensabili, ma se si decide di disattivare le notifiche e scorrere poi velocemente la lunga lista di messaggi quotidiani nei momenti della giornata in cui lo si desidera,, non è una cosa poi così angosciante, come inizialmente potrebbe apparire. Certo, se Shakespeare fosse ancora in vita, avrebbe tanto ‘food for thought’ per scrivere di figure a lui sconosciute, come per esempio i lurkers, o adattarne altre ai tempi moderni, come le ‘sanguisughe’ e gli insani di mente. Saprebbe anche riconoscere in questi social tante delle miserie umane incarnate dai suoi personaggi: l’ipocrisia, la falsità, la cattiveria, il vantaggio personale, l’invidia, la vendetta, anche se ovviamente in misura molto ridotta.

Quali sono quindi i principali vantaggi e svantaggi dell’uso dei social nella preparazione ai concorsi, oltre a quelli già citati? Tra i primi, la circolarità immediata delle informazioni, che arrivano molto più velocemente rispetto ai canali istituzionali; il ‘tendere una mano’ a chi è in crisi (‘non me la sento di andare domani a sostenere l’orale!’); lo scambio di recensioni sui vari B&B, hotel e servizi di trasporto che necessariamente i candidati devono prenotare per arrivare al luogo, spesso lontano anche qualche centinaio di kilometri dalla propria abitazione. Tra gli svantaggi, sicuramente il far parte di gruppi social ‘oceanici’ fa perdere ogni tanto la bussola, in quanto prevale il cosiddetto ‘information overload’; l’inoltro di messaggi o comunicazioni varie talora avviene d’impulso, senza alcuna verifica delle fonti, contribuendo quindi alla diffusione di fake news; come nel gioco del ‘telefono senza fili’, alcune informazioni possono essere storpiate.

Ciò che mi ha arricchito, comunque, è la possibilità di mettere a frutto le funzioni di tutor che già avevo messo in pratica in anni recenti, ma soprattutto di condividere e imparare sempre cose nuove. Tra chi ‘è’ insegnante e chi ‘lo fa’, c’è proprio questa differenza: la necessità di imparare sempre.

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