Ho conosciuto Gabriele in un flame sull’eterna battaglia tra pubblicitari e web writer. Ne è uscita un’intervista, ispirata ad un’altra fatta da un collega (fonte a fine articolo). In questa guerra a colpi di cent a parola, Gabriele si è raccontato e la sua intervista è un vero e proprio corso base per chi vuole iniziare la professione di articolista da remoto.
Ti sei formato su libri, corsi o sul campo?
Ciao Nath! Mi sono formato sul campo, da solo, in totale autonomia, lavorando con i primi clienti a prezzi bassi (prima con Melascrivi, poi con il forum AlVerde). Così ho imparato a usare WordPress, i tools come SemRush e ad analizzare la SERP per le parole chiave e gli intenti di ricerca.
Non ho mai fatto corsi, né li farò in futuro, perché le cose con Google cambiano velocemente e l’unico modo per testarle è mettere le mani in pasta. I corsi, infatti, diventano obsoleti nel giro di pochi mesi, e lo stesso discorso vale per i libri. Ovviamente parlo anche di SEO applicata alla scrittura on-site, volgarmente chiamata SEO copywriting.
Perché hai abbandonato l’idea di diventare pubblicista
Ho abbandonato l’idea di diventare pubblicista per due ragioni.
Innanzitutto per la nausea che mi è venuta, dato che avevo iniziato il percorso con 3 testate diverse, e tutte e 3 – per un motivo o per un altro – alla fine mi hanno tirato il bidone.
In secondo luogo, perché nel corso degli anni ho capito di voler fare altro. Sono laureato in giornalismo e in passato ho amato questo settore: lo rispetto troppo, e per questo non ho il coraggio di partecipare al circo messo in piedi dalle testate di oggi, che sottopagano e violano qualsiasi etica del codice.
Cosa ne pensi delle testate che pagano a click?
Ogni sito ha il proprio modello di business, quindi non mi permetto di giudicare il pagamento a click/visibilità degli articoli. Se funziona, sia per gli editori sia per gli articolisti, va bene così. Spesso chi è agli inizi può fare pratica con questo sistema, anche se esistono vie migliori.
Ad esempio, i primi articoli li ho scritti nel 2014 per BlastingNews, che adotta proprio questo sistema: un paio di pomeriggi mi son bastati per rendermi conto che non era il caso di proseguire.
Perché scrivi solo articoli e non landing, newsletter, testi per i social o ADS e perché ha senso specializzarsi come articolista da remoto?
Non scrivo landing e newsletter, o testi per i social e ADS, perché semplicemente non ne sono capace, né mi sono mai interessato a questo genere di contenuti. Non sono un copywriter ma un web writer specializzato in “articolismo”.
Come ogni cosa nella vita, ha senso specializzarsi in questo campo se si ottengono soddisfazioni, sia personali sia economiche. Inoltre, approcciare quella tipologia di contenuti richiede la stessa sofferenza: servono tempo, studio e pratica per poter ambire a tariffe dignitose (o almeno credo).
A volte ti definisci seo copywriter ma poi chiarisci di non esserlo, eppure se i tuoi testi si posizionano così bene vuol dire che applichi le regole della seo on page, no?
Inizialmente usavo sempre il termine SEO copywriter, soprattutto perché imitavo lo spirito degli altri annunci sul forum AlVerde. Lo avevo anche in firma in e-mail, e l’ho tuttora sul profilo LinkedIn, che altro non è che una copia del mio annuncio. Poi mi son reso conto che il SEO copywriter è una creatura leggendaria: esiste solo se ci credi, e io non ci credo.
Avendo fatto molta pratica negli anni, con svariati progetti personali, posso dire la mia: gli articoli si posizionano quando alla base c’è un calendario editoriale ragionato, quando danno informazioni utili all’utente, e soprattutto quando a Google sta bene così. Basta un cambio di algoritmo per mandare tutto all’aria, al di là della qualità, della SEO on-page e di altre menate del genere.
Per questo, secondo me, la SEO on-page oggi vale poco. Certo, è bene arricchire i testi con le entità che Google correla al topic principale (spesso dettate dalla logica), ma ficcare qui e là le parole chiave non ha senso. Anche se ci sono siti che si posizionano facendo keyword stuffing, ma quella è un’altra storia.
Aggiungo: la vera SEO on-page è proprio il calendario editoriale, è quello che fa la differenza. Dato che il “SEO copywriter” non si occupa quasi mai di questo aspetto, ecco un’ulteriore conferma della stupidità di questa etichetta.
Chiarisci anche di non essere un creativo, eppure per sfornare la quantità di articoli che sforni al giorno serve la variatio…
No, non sono un creativo e non uso la variatio. Sono così veloce proprio perché scrivo e ragiono secondo dei costrutti mentali ben definiti, che applico in serie ai testi, e che appartengono solo a me. Questi costrutti li ho sviluppati negli anni, quindi sono diventati una forma di automatismo: se li sapessi spiegare a parole, probabilmente oggi avrei organizzato un corso di scrittura per il web.
P.S. non sono un creativo ma solo per scelta, perché all’attivo ho un romanzo mai pubblicato e una serie di racconti che mi hanno portato soddisfazioni in ambito universitario.
Per posizionare un sito non ci vuole solo qualità o a volte non ci vuole proprio. Ci vuole quantità e i siti vengono riempiti letteralmente da te e dai tuoi colleghi, corretto?
Esatto! Per posizionare un sito non serve la qualità. Google, che è e rimane una macchina stupida, non può giudicare quell’aspetto, anche se i “guru” della SEO ti diranno di sì. Oggi il posizionamento continua a dipendere da vari fattori, principalmente dal profilo dei link di un sito, anche se metterla solo su questo piano è riduttivo.
Come ti dicevo, basta un cambio di algoritmo per distruggere anni di lavoro. Paradossalmente, fino al 2021 la qualità pagava, ma dal 2022 i nuovi cambiamenti hanno riportato indietro di mille anni l’intelligenza di Google (o semplicemente c’è stato un cambio di strategie, cosa più probabile).
Sì, la quantità è fondamentale, com’è ovvio che sia. Un sito con 100 articoli, se il calendario editoriale è stato fatto bene, avrà più chance di ricevere traffico rispetto ad un blog con 20 articoli. E questi blog vengono riempiti proprio dagli articolisti (non dai copywriter).
Ci sono tech writer articolisti di settore che chiedono cifre alte, mentre tu scrivi “di tutto”. Chi dice che la tua abilità sia inferiore rispetto alla loro?
Infatti non lo è, anzi. La mia abilità è superiore a quella di tanti writer specializzati. Ma una cosa è essere abili, un’altra è essere competenti. Non potrei mai specializzarmi in architettura o in contenuti informatici, dato che il mio percorso di vita non mi ha permesso di appropriarmi di quelle conoscenze. E la competenza verticale è giusto che venga pagata tanto.
Scrittura per il guest posting: è una nicchia profittevole?
Personalmente la considero come la mia fortuna. Ancora oggi scrivo tonnellate di guest post, facendomi pagare “al chilo”, cioè a numero di parole. Si tratta di un mercato che non morirà mai, per il motivo che ti ho spiegato poco sopra: i link sono fondamentali per il posizionamento di un sito, e qualcuno dovrà pur scriverli.
Io, rispetto agli altri, ho una specializzazione maggiore nel guest posting, e infatti chiedo cifre decisamente più alte delle medie. Ma in realtà potrebbe scriverli chiunque, con le dovute accortezze, e infatti in tanti iniziano proprio con questo genere di contenuti (anche se magari nemmeno se ne rendono conto).
Scrittura per l’affiliate marketing: anche questa è una tua area di business?
La mia seconda fortuna. Per 5 anni ho lavorato con un cliente impegnato in questa nicchia, e da lì ho imparato tutti i trucchetti del mestiere. Così alla fine mi sono messo in proprio, anche se con colpevole ritardo, nel 2019-2020, e ogni anno apro nuovi blog (non sempre le cose vanno bene, ma fa parte del gioco).
I contenuti affiliate spesso sono pagati poco, così come i guest post, ma sono una palestra eccezionale per chi vuole scrivere per mestiere, perché insegnano ad essere veloci e permettono di farsi una cultura su mille argomenti evergreen diversi. E, come detto, possono farti apprendere competenze indispensabili per una professione particolare.
Sei un remote worker. Sul web leggiamo molte lagne di persone che vivono in territori economicamente depressi, rimanendo tagliate fuori dal mondo del lavoro, ma tu hai brillantemente risolto il problema e fai del southern working. Perché quasi nessuno fa come te?
Non so, io non mi sono mai fatto seghe mentali. Innanzitutto perché ho avuto la fortuna di avere una famiglia in grado di sostenermi economicamente, al punto che fino a 32 anni non ho mai lavorato (se non come animatore nei villaggi turistici).
I miei mi hanno permesso di prendere la laurea a Roma, godendomi la vita notturna di questa spettacolare città, e quando son tornato a Palermo – abbastanza depresso – mi sono rimboccato le maniche scoprendo come sfruttare le (poche) doti che avevo.
Resto a Palermo per il legame con la mia famiglia, sennò tornerei a Roma (come ho già fatto prima del lockdown per 2 anni). Non saprei dire se sono tanti o pochi quelli che lavorano in remoto restando al Sud, pur potendosi permettere altre opzioni!
Lavori davvero tante ore di seguito. Quanto ti aiuta il remote working? Reggeresti tutte queste ore in un ufficio fisico e lavorando “sotto padrone”?
Nel remote working io ci sguazzo, come una paperella nello stagno. Perché sono un comodista, un pigro della prima ora e mi piace stare in mutande o in tuta. Inoltre, non sempre amo vedere le persone, quindi caratterialmente sono un remote worker perfetto.
Non reggerei mai le classiche 6-8 ore in ufficio, e infatti – quando mi è stato proposto un contratto da un’agenzia di marketing a Roma – ho rifiutato senza troppe paranoie.
Perché il mondo del copywriting, o meglio, la sua manifestazione sui gruppi Facebook (che non rispecchia il settore, ma solo quella parte che ha più tempo) è ossessionata dalle definizioni e dai nomi corretti delle varie professioni? Quanto il vero problema è il lavorare poco e la competizione sfrenata sulle briciole?
Premessa: io non conosco il mondo del copywriting, non essendo un copywriter. Ma penso che la distinzione tra il termine copywriter e web writer/articolista sia d’obbligo, perché si tratta di due lavori molto diversi.
Lo dico per il bene dei web writer come me, che hanno una propria dignità professionale, e competenze superiori ai copy in determinati settori (ma è vero anche il contrario, ovviamente). Poi, per carità, ci sono anche persone che riescono a coniugare entrambe le anime, ma credo si tratti più che altro di un’eccezione.
Ma il vero problema non è semantico. Come hai detto giustamente tu, il problema è la competizione. Oggi molti copywriter di fascia media “leccano la sarda” (come si dice in Sicilia), hanno poco lavoro e di conseguenza si mettono a fare i web writer, per via della mole di richieste disponibili. Non casualmente, tutti questi personaggi li trovi su Facebook, dato che di lavorare… non se ne parla.
Qui scatta il cortocircuito: un copy che chiede tariffe superiori per un lavoro che altri fanno con tariffari inferiori (e che probabilmente fanno anche meglio). E allora, ecco che parte la battaglia del copy contro i web writer, nel tentativo di inglobare questa professione nel proprio orticello, sminuendo i secondi: una roba penosa e disgustosa, da veri vigliacchi (oltre che incompetenti e ignoranti, giusto per aumentare il carico).
Ci tengo a ricordare che il copywriting fa parte del content writing, ma NON è il content writing.
Molti pubblicitari schifano il compenso a parola, ma alla fine dipende anche dalle cifre, non dall’unità di misura. Conosco persone che lavorano a 10, 15 cent a parola. Ed è comunque meglio di lavorare a provvigioni o a risultato, no?
I pubblicitari fanno benissimo a schifare il compenso a parola. Anche io mi incazzerei, se mi proponessero 3 euro per un testo promozionale di 300 parole che ha richiesto ore di lavoro e quel talento innato che si chiama creatività.
Ma i compensi a parola non sono applicabili nel settore del copy, e infatti il problema emerge quando i copywriter “sconfinano” nel web writing, dove spesso vigono regole diverse. Ovvio, c’è l’escamotage: alzi le tariffe, lavorando appunto a 10, 15 cent a parola. Ma per chiedere quella cifra devi valere, e devi essere tecnico, quindi altamente specializzato su un argomento.
Il problema è che il 99% dei copy che tentano l’avventura nel mondo dei contenuti per i blog non vale lontanamente quella cifra. Lo so perché anche io ho richiesto i servizi di questi presunti geni sui gruppi di Facebook. Risultato? Per 4 euro x 100 parole, mi hanno proposto degli esempi di articoli scopiazzati dalle fonti più note.
Per quel che riguarda il lavoro a provvigioni o risultato, non saprei dirti. Magari in certi casi può essere conveniente, se si è certi della propria qualità e della propria bravura!
Dici che per iniziare questo lavoro si deve partire da cifre molto basse. Secondo te, qual è la cifra minima da cui partire? Vedo troppi giovanissimi abituati ad accettare lavori gratis e questo mi rattrista.
Io “dico” è una parola grossa. Nel corso degli anni ho fatto spesso un passo indietro sulle mie opinioni, perché nella vita si cresce e si impara dai propri errori.
Fino a 2 anni fa ti avrei detto sì, bisogna partire da cifre basse, ma oggi ti dico “non necessariamente”. Magari una persona più scafata di me, che sa vendersi meglio, può partire da cifre più alte anche con zero esperienza. Certo, visto il mercato, non potrà chiedere la luna!
Oggi chi inizia trova facilmente lavoro a 1 euro x 100 parole, quindi per provare questa avventura secondo me si dovrebbe partire proprio da quella cifra. Meglio ancora se si ha la possibilità di fare pratica con tools come WordPress e SemRush, come è capitato a me: si tratta di un valore aggiunto da pesare.
Lavorare gratis no, mai.
Perché il mondo degli articolisti, soprattutto quelli pagati poco, è composto in gran parte di donne? Pensi che c’entri il gender gap e la mancanza di autostima che viene trasmessa alle colleghe donne?
Sì, effettivamente ci sono moltissime donne nel settore del web writing, ma non credo c’entri il gender gap e la mancanza di autostima trasmessa (argomenti che non mastico, in tutta onestà).
Magari le lauree letterarie hanno un tasso di iscrizione femminile più alto, e così si spiegherebbe la presenza di molte giovani che provano l’avventura nel campo della scrittura, e che proseguono lungo questa strada!
Hai mai pensato di fare il formatore per giovani aspiranti articolisti? Sia sulla tecnica sia su come gestire il mestiere.
Sì, ci ho riflettuto diverse volte. Fare un corso è un sogno che ho nel cassetto da anni, ma che non ho potuto realizzare per due motivi: ho già dei progetti personali che assorbono tantissimo tempo, e per formare qualcuno devi anche averne le capacità, dato che non basta essere esperti in qualcosa.
Io non so se ho quelle capacità, ma non ho avuto modo di mettermi ancora alla prova. Un domani, chissà, potrebbe accadere. Comunque sia, quella dell’articolismo dovrebbe essere soltanto una tappa del percorso. Poi, meglio mettersi in proprio, magari tenendo qualche cliente per diversificare le entrate.
Ormai guadagni tanto ma lavori anche tantissimo. È una cosa che intendi fare per qualche anno e poi goderti i frutti dei tuoi guadagni o sei workolizzato?
Sì, lavoro tante ore al giorno, in realtà la maggior parte dedicata ai miei progetti, quindi la cosa si mixa anche con il piacere personale. Mi piacerebbe godermi il frutto del mio lavoro, come ho fatto regalandomi 2 anni a Roma nel 2017/2019, ma le cose oggi sono un po’ diverse.
Non so ragionare al di fuori del presente, ma se avessi del tempo libero finirei per impiegarlo – ancora una volta – per scrivere!