CONFERENZA NAZIONALE SULL’ARCHITETTURA
VERSO UNA STRATEGIA DI SISTEMA PER L’ARCHITETTURA ITALIANA: FORMAZIONE, RICERCA, PROFESSIONE
Il 27 Aprile 2017, a Roma, si è tenuta la Conferenza Nazionale sull’Architettura, verso una strategia di sistema per l’Architettura Italiana: formazione, ricerca professione. Ho fatto un report. Alcune imprecisioni potrebbero essere state causate da problemi di connessione e comprensione. Segnalatemi pure eventuali rettifiche via mail.
A moderare è Mauro Salerno, che si occupa di edilizia, infrastrutture e appalti per IlSole24Ore, e anticipa che il fulcro della discussione sarà il sodalizio tra Professione e Università, e una proposta unitaria per la formazione.
Iniziano i saluti:
Il primo ad intervenire è Giuseppe Cappochin, il Presidente del CNAPPC. Ricorda che è il terzo momento, in 3 mesi, in cui ordine e atenei si incontrano per confrontarsi, grazie anche all’impegno di Saverio Mecca. Accenna al tema del tirocinio in relazione all’abilitazione, e ad alcune questioni inerenti alla possibilità di esercitare essendo docente full time.
Il secondo a prendere la parola è il sopracitato Saverio Mecca, Presidente della CUIA (Conferenza Universitaria Italiana di Architettura), che valorizza il ruolo sociale e politico dell’Architetto.
A prendere la parola è ora Barbara Degani, Sottosegretario al Ministero dell’Ambiente, della Tutela del Territorio e del Mare. Parla del confine tra architettura e tutela del paesaggio. Ricorda che il 14 maggio è la giornata del paesaggio. Parla di sviluppo sostenibile, del riciclo dei rifiuti, del tema della riqualificazione, che deve essere incluso negli appalti pubblici.
E’ il turno di Cosimo Ferri, Sottosegretario al Ministero della Giustizia, che porta il delicato tema dell’edilizia penitenziaria e dell’arredamento delle carceri, delle aree verdi, delle aree comuni, delle sale colloqui e per gli incontri familiari, il tutto seguendo le norme antisismiche.
L’apertura e i saluti istituzionali prevedono anche gli interventi Dorina Bianchi Sottosegretario al Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo,
Maria Letizia Melina, della Direzione Generale per lo studente, lo sviluppo e l’internazionalizzazione della formazione superiore, MIUR, e Adalberto Del Bo Vicepresidente European Association for Architectural Education
Viene poi letto un messaggio per iscritto inviato da un ospite che non è potuto essere presente. Il tema è “costruire in modo intelligente“, conciliando ecosostenibilità, analisi, scelta dei materiali, impatto, e offerta progettuale.
Prende la parola Federico Cinquepalmi, il Dirigente dell’Ufficio Internazionalizzazione della Formazione superiore, MIUR, che si occupa delle direttive europee sulla formazione.
E’ molto soddisfatto per il ritrovato dialogo tra CUIA e CNAPPC.
Riprende il tema del ruolo politico dell’architetto, il suo ruolo “di rappresentanza” e la sua capacità di modificare il territorio. Cita il progetto Casa Italia e altri progetti ambiziosi sotto l’aspetto della riqualificazione.
L’intervento successivo si concentra sul tema della ricerca, della salvaguardia della deontologia.
Si deve lavorare su due piani: l’alta formazione e l’internazionalizzazione della figura dell’architetto.
Si parla del progetto “Caschi Blu della Cultura“, e viene citato un passo del De Architectura di Vitruvio.
L’Europa dell’Architettura “regge” ai cambiamenti politici.Parla anche del progetto Erasmus, dell’Architect’s Council of Europe, che raccoglie tutti gli Ordini degli Architetti d’Europa, dell’architetto come figura mondiale, e del “Learning with the world”.
Prende la parola Mario Panizza, Rettore dell’Università Roma Tre, CRUI.
Ribadisce l’importanza di concentrarsi su temi concreti, come quello delle barriere architettoniche. Parla dell’annoso problema dell’ “espropriazione” delle attività degli architetti ad opera dei geometri, i quali contribuiscono al 15% in più del PIL, poichè il geometra viene percepito dai clienti come una figura maggiormente “concreta”.
In seguito parla dell‘interdisciplinarietà e del percorso di Laurea in tutela del territorio.
Ribadisce che oltre ai fondi devono esserci anche buoni progetti.
Inizia la Tavola Rotonda della mattina…
Il moderatore presenta alcuni numeri relativi al mondo dell’architettura.
“Si diventa architetti più per attitudine che per soldi”:
154.000 iscritti all’Albo degli Architetti, il numero più alto in Europa (in Francia e in Inghilterra sono 30.000 e in Germania sono 100.000), ma anche il reddito più basso in Europa. In Italia, nel nostro settore, il tasso di disoccupazione è addirittura al 31%. Il reddito degli under 30 è di 9.000 euro all’anno, mentre gli ingegneri arrivano a 13.000 euro.
Di contro, i geometri arrivano a 32.000 all’anno.
Si parla di formazione permanente e della possibilità di sostituire il quinto anno con due anni di tirocinio.
Torna a parlare Capocchin. Il titolo del suo intervento è “Il ruolo dell’architettura: per il territorio e il patrimonio”. Parla della crisi economica e finanziaria, e del repentino cambio della società, che “invecchia”, e che vede “destrutturato” il vecchio concetto di famiglia. Parla della legge sulla promozione della qualità architettonica.
Parla del ruolo dell’Architetto nelle altre nazioni, dove la sua figura è ben definita. Parla dei tariffari e dei concorsi (in particolare fa riferimento all’articolo 23, comma 2, codice appalti, e a come quasi mai si faccia ricorso ai concorsi).
In Italia i concorsi finiscono per far lavorare gratis i professionisti. I cinque finalisti dovrebbero dividersi il premio economico, mentre il primo avrebbe l’onere e l’onore di eseguire il progetto finale. Parla dell’Architettura come di un volàno economico e del plusvalore che si genera nei quartieri riqualificati.
Prosegue Saverio Mecca, dicendo che L’Ordine Italiano è uscito dall’UIA (International Union of Architect) per via dei costi inaccettabili, basati sul numero dei nostri iscritti. La speranza è che si possa accedere secondo altri parametri, riducendo il prezzo a circa un quinto.
Dice anche che gli architetti italiani, comunque, all’estero sono molto apprezzati.
Il titolo dell’intervento è: “Un progetto di riforma del sistema formativo dell’architetto in Italia”
Si parla di una specializzazione post lauream simile a quella dei medici, e della possibilità di revisionare le classi di laurea, con la già indicata possibilità di passare ad un 4+2, per un rapporto sistemico formazione/professione (professional tecnoship). Indica anche proposte a basso impatto economico, e parla del problema delle competenze non esclusive degli architetti.
Ricorda che l’Italia è un territorio molto antropizzato, e che la formazione non deve dimenticare il suo duplice compito di formazione e di ricerca. Ricorda anche che l’architetto ha una responsabilità di interesse pubblico.
Lo segue il relatore Paolo Malara, Coordinatore Dipartimento Università, tirocini ed esami di stato del CNAPPC. Il titolo dell’intervento è “Il progetto formativo e professionale dell’architetto”.
Parla dell’esigenza di parlare seriamente del 328, al fine di “non spezzare l’architettura”. Anche lui riprende il tema del tirocinio e della possibilità di un “accordo obbligatorio”.
E’ il turno di Paolo Giandebiaggi, Università di Parma, CUIA, il cui intervento si intitola “Mercato e formazione in Architettura: l’esperienza del sub-group Architects-European Commission”.
Inizia dicendo che finora ci sono state pochissime regole per la formazione, e che molte facoltà hanno sfumature non finalizzate all’esercizio della professione di Architetto, ad esempio più mirate all’arte e alla tecnica.
Ricorda che la nostra disciplina ha ben undici aree di competenza (progettazione, restauro, tecnologia, economia, sociologia, giurisprudenza…) e i crediti formativi universitari non sono equilibrati: la metà dovrebbero essere destinati a materie di progetto. Il “lavoro” deve essere introdotto nelle accademie.
L’intervento del viceministro viene posticipato, e si dà la parola a Lorenzo Bellicini, Direttore CRESME, il cui intervento è dedicato a “Formazione, professione, mercato. Scenari per il XXI secolo”.
Inizia chiedendo cosa sia l’architettura oggi, ricordando che la richiesta, al livello planetario, è crescente. Lamenta il fatto che lo studente o il neolaureato non hanno docenti che lo orientino e indirizzino.
Prende parola Livio Sacchi, Coordinatore Dipartimento Esteri del CNAPPC, il cui intervento riguarda “Il mercato dell’architettura
in un quadro internazionale”. Inizia con un’indagine sull’internazionalizzazione (ad opera di Inarcassa), che vede il 59% dei partecipanti disposto a lasciare l’Italia, il 30% che è già stato all’estero e un 64% non intenzionato a spostarsi. Molti dichiarano di non volersi spostare neanche dalla propria provincia. Ricorda che Bernini e Borromini si spostarono a Roma e che Gropius e Van Der Rohe, spostandosi in America, influenzarono la modernità americana. Anche in Italia ci sono moltissimi professionisti stranieri.
Proietta delle slide che vedono l’Italia prima per numero di architetti e penultima per numero di laureati.
Gli italiani all’estero primeggiano per la padronanza di software come Rhinoceros, Sketchup e Revit, ma anche nel facility management e nel BIM.
Alcuni non lavorano all’esterno ma si spostano all’occorrenza, che summit coi clienti, altri invece preferiscono lavorare in tandem col cliente (i cinesi, ad esempio, richiedono questo approccio).
I posti di maggiore richiesta sono l’Europa, il Canada, il Medio Oriente,l’Iraq, la Siria, l’Estremo Oriente e l’Africa.
Invita inoltre alla cura dell’Heritage (Patrimonio culturale e architettonico), e alla cultura della città.
Ricorda che gli studi professionali, in Italia, sono, mediamente, di piccola dimensione, ma in relazione alle nostre città e ai nostri edifici, relativamente “piccoli”.
Il professionista degli studi in Italia ha una scarsa propensione al digitale, al BIM, ai nuovi materiali.
Le dieci più importanti società di Architettura al mondo sono californiane.
Suggerisce il modello francesce: l’alleanza tra Atenei e Professione, che nel nostro caso potrebbe comprendere anche gli attori pubblici, e anche altri ministeri, oltre al MIUR.
Prende la parola Ilaria Valente, docente del Politecnico di Milano, CUIA. Il titolo dell’intervento è “Prospettive di internazionalizzazione per le Scuole di Architettura italiane”.
Ringrazia Livio Sacchi e Alberto Ferlenga, e propone una sfida: formare architetti “capaci di stare nel mondo”.
Non dobbiamo diventare “Globish”, perdendo le doti per cui ci apprezzano all’estero. Dobbiamo maneggiare gli strumenti, ma non confondere strumento e finalità, progetto e processo. Va data maggiore attenzione al progetto.
Va costruita una rete di città e di scuole d’Architettura. L’Erasmus ha creato una generazione di “Architetti europei”.
In Italia il grande vantaggio è di avere atenei immersi nella città e nell’architettura, diversamente dai Campus stranieri.
Dobbiamo rendere accoglienti gli atenei e le città universitarie.
Nel “Ranking” degli atenei non sono chiari i parametri. Il Politecnico di Milano raggiunge ottime posizioni, ma è anche vero che alcune ottime scuole, piccole eccellenze, che non fanno “massa critica”, non rientrano nei parametri.
Ambigui anche i parametri per avere l’”etichetta” di Corso Internazionale: per molti è un corso totalmente in inglese, ma ad esempio il Politecnico di Milano eroga corsi bilingue.
Anche tasse e borse di studio dovrebbero essere “internazionalizzate”, per premiare l’eccellenza anche dei nostri studenti stranieri: molti di loro abbandonano la borsa di studio perché le altre spese sono troppo alte.
Conclude la tavola rotonda della mattina Riccardo Nencini, Vice Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti.
I nostri atenei hanno avuto un crollo fortissimo di iscritti, soprattutto in Sicilia e all’Aquila.
La nostra nazione non ha vere e proprie metropoli, se non Milano e la sua Hinterland. Sono cambiate le esigenze. Il 52% delle famiglie sono ormai “famiglie non tradizionali”, con case piccole e servizi energetici diversi. Siamo nel pieno di un cambio epocale. Anche Dostoevskij, dopo aver visto le industrie di Londra, ne rimase colpito e ne fu influenzato come uomo di cultura.
Sul tema dell’estero, il relatore ritiene interessante riportare un aneddoto: Lorenzo Il Magnifico, preoccupato dell’esodo degli artisti dal suo regno, fece un bando. Al terzo bando disertato, aggiunse un compenso. Se vogliamo invitare i giovani a tornare, dobbiamo offrire loro qualcosa.
Invita prudenza nell’invitare i giovani ad investire sull’Africa, che ha 49 paesi presidiati da dittature militari e Paesi a Nord agitati dalle primavere arabe.
Pone l’attenzione sui problemi dei piccoli studi, che non riescono ad arrivare a fine mese, e alle speranze disattese dagli appalti di fine anni ’90.
Invita a riprendere i piani periferie nelle città.
Nel pomeriggio, si apre una tavola rotonda dal titolo:
“L’architettura per il futuro dell’Italia. Proposte per il sistema dell’architettura: formazione, ricerca, professione”
Il moderatore, Nicola Di Battista, Direttore “Domus”, introduce raccontando un aneddoto sul Dopoguerra, relativo ad un importante incontro tra filosofi e architetti. Il primo ad intervenire è Heidegger, che usa l’architettura come metafora filosofica, ma viene preso alla lettera. Interviene Ortega, che profetizza che “Ad ogni edificio vedremo l’impertinente profilo di uno a cui è venuta voglia di farlo così”.
Interviene Federico Cinquepalmi, che parla del progetto “Caschi blu della cultura” e delle possibilità in Marocco.
Lo segue Sara Marini, professore associato IUAV, che riprende il tema dello “specializzarsi” per “surfare” nel mercato, che va dunque “diversificato”.
Ribadisce, come già detto, che “per i geometri è più facile“, perché le risposte degli architetti vengono percepite come “meno precise”.
Viene indicata Maria Giuseppina Grasso Cannizzo e il suo modo di lavorare su piccoli spazi. Il piccolo è problematico?
L’ambizione non va demonizzata. E’ positiva e senza di esse le generazioni si laureerebbero già scoraggiate.
Ricorda quando il “made in Italy” debba all’architettura, e invita al riflettere sul nostro essere sempre “penultimi”, che, diversamente dall’essere ultimi, impedisce di agire davvero.
Nicola Di Battista interviene dicendo che ad Architettura non si insegna “il mestiere”, ma che lo si impara facendolo.
Ricorda che il Design è riuscito a diventare disciplina autonoma.
Invita anche a riflettere sul perché in Italia non ci siano metropoli.
E il turno di Silvia Viviani, Presidente dell‘Istituto Nazionale di Urbanistica, primo presidente donna e libera professionista.
Invita a uscire dal binarismo dei giudizi bello/brutto o global/local.
Parla del Brand Italiano e chiarisce che è un momento sia di grande fragilità che culturalmente basso.
Manca una “cassetta degli attrezzi” sia tecnica che culturale, che l’architetto deve essere capace di utilizzare.
Dobbiamo ri-tessere i rapporti tra professionisti, fuori da una chiave di competizione, ma in un’ottica di scambio. Le conoscenze vanno condivise, e i progetti devono essere culturali, e ottenuti mediante processi di sperimentazione, unendo tecnica e cultura.
Quando si parla di città, tutti prendono parola, ma nessuno ascolta l’architetto urbanista, che è l’unico ad avere le “chiavi inglesi”.
Abbiamo rovinato delle generazioni con alcuni tormentoni semantici come “non luogo”, “ri-generati” e “rammendo”, di cui abbiamo riempito le nostre lezioni.
Cita Romiti, il quale ha detto che, se oggi avesse vent’anni, andrebbe a stare ad Amatrice, con -20 gradi d’inverno, per vivere un posto prima di modificarlo.
E’ il turno di Ezio Micelli, professore associato all’IUAV, di Economia Urbana.
Il primo punto è relativo alla tecnologia e all’incomprensibile diffidenza che la riguarda. Introduce il concetto di Retrofit: la generazione del territorio con nuove tecnologie, smaterializzare o appropriarsi delle tecnologie come ha già fatto l’artigiano.
Il secondo punto riguarda invece i saperi: il lavoro di gruppo è molto adoperato negli atenei, ma poi mediamente gli studi hanno 1,4 persone nel loro organico. Ai saperi viene invece dato poco spazio.
Fa riferimento a delle piccole eccellenze che non hanno retto, facendo si che si salvassero solo le realtà di taglia più grande.
Il terzo punto riguarda l’Architettura che trasforma la domanda latente in progetto. L’architetto è un umanista che ha studiato anche dinamiche sociali, e che deve declinare la professionalità, interpretare le ambizioni e dare loro forma.
Segue un breve intervento di Alessandra Ferrari, Coordinatrice del Dipartimento Promozione della cultura architettonica e della figura dell’architetto del CNAPPC
Prosegue il moderatore:
Magistretti, con una sola mano, disegnava e aveva tantissimo lavoro, un lavoro che oggi non c’è. Altri stati hanno non solo delle leggi sull’Architettura, ma sensibilizzano i bambini alla professione già dalle scuole elementari. In Francia l’Architetto ha delle competenze nette.
Andrebbero fatte delle piccole operazioni pratiche in merito.
Ai nostri Architetti, all’estero, chiedono come manteniamo la specificità dei nostri luoghi.
Un tempo si iniziava prestissimo. Il fondatore di Domus aveva 18 anni e il cofondatore 24 (Giò Ponti). Lo stesso anno, da altrettanto giovani fondatori, veniva fondata La Casa Bella.
Interviene Valerio Barberis, Assessore all’Urbanistica e ai Lavori pubblici
del Comune di Prato.
Chiarisce che non è più la fase storica in cui si può lavorare con la ricerca (quindi anche tramite concorsi). Sarebbe meglio, inoltre, che ci fossero più concorsi e che fossero più piccoli.
La parola passa a Anna Maria Giovenale, preside dell’Università di Roma Sapienza, CUIA.
Fa notare che il design ha sempre anticipato la domanda, mentre l’architettura, al contrario, l’ha sempre “inseguita“:
Ricorda che l’Italia ha 22 scuole d’architettura, tutte pubbliche, a cui si aggiungono le scuole di ingegneria.
Perché obbligare alla formazione?
Il triennio appena conclusosi è stato analizzato:
due aree tematiche sono state dimenticate dagli organizzatori: l’interior design e il restauro, entrambe eccellenze italiane.
Sono stati preferiti i temi di grande formazione e di acquisizione di un’abilità immediata o di un’abilitazione.
Molti hanno investito nella formazione Bim, che però è ancora poco applicata.
Segue Paola Gigli, dell’Ufficio della Presidenza della Conferenza Nazionale
degli Ordini APPC – Gruppo Operativo Università.
Riprende il tema dei tirocini post lauream e dei laboratori condivisi.
Consiglia di ideare nuove forme di società tra professionisti, al di là delle tanto odiate STP.
Interviene quindi Paolo Mellano, del Politecnico di Torino, CUIA, che invita a rinnovare la formazione, e retribuire i tirocini.
E’ il turno di Antonello Sanna, appena arrivato in aereo, Università di Cagliari, CUIA, ex preside della facoltà di architettura, ora accorpata a ingegneria. Segnala la diminuzione di iscritti alle facoltà e agli albi.
Conclude il moderatore dicendo che così come i professionisti di Berlino Ovest rifecero Berlino Est, dovremmo rifare l’italia.
autore: Irriverender Bonnì, architetto e formatore