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Cantine Antinori: un esempio di Brand Architecture, tra ecosostenibilità, tecnologia, tradizione e rispetto del territorio.

Il progetto delle Cantine Antinori rappresenta un esempio di Brand Architecture, in cui nessun aspetto è trascurato: tradizione, innovazione, sperimentazione progettuale e tecnologica, ecocompatibilià, rispetto del territorio, uso di materiali tradizionali reinventati in chiave moderna.
La cosa che però rende particolare questo progetto è la storia del cantiere, e come la committenza e il team progettazione sono riusciti a trasformare le difficoltà, presentatesi già nella prima fase cantieristica, in un’opportunità per nuove sfide tecniche e progettuali.

Spero che vi piaccia questo mio saggio, e che sia utile a farti conoscere il mio stile di Saggista d’Architettura, Articolista, Copywriter, Tech Writer, e, all’occorrenza, anche Ghostwriter su temi architettonici, oltre che docente di storia dell’arte e dell’architettura. Negli ultimi anni ho soprattutto organizzato corsi online test ammissione architettura e corsi di preparazione al test d’ingresso di design.

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Cantina Antinori: progetto e architetto

La storia delle Cantine Antinori inizia quando la famiglia Antinori decide di unificare gli Uffici Amministrativi, all’epoca a Firenze, con l’opificio vero e proprio, creando una sede sia di rappresentanza che funzionale, tramite un’architettura che si sarebbe fatta “Brand”, situando l’opera nelle colline del Chianti.

Il sodalizio tra questa committenza illuminata e lo studio fiorentino Archea si ha grazie ad un’intervista che l’Architetto Marco Casamonti stava facendo al Marchese Antinori, per una monografia sulle cantine più suggestive del mondo. E’ in quel momento che il Marchese “sfida” l’Arch. Casamotti a proporre una “non facciata” per quest’opera, che il Marchese immaginava come una sede di rappresentanza, per il brandind del Chianti e degli altri prodotti, che unisse il concetto di fabbrica, di casa colonica, ma in un certo senso anche di “chiesa”, visto che c’è qualcosa di sacro nella produzione dei vini. Il tutto doveva essere fatto rispettando il Genius Loci, reinterpretandolo, e ringraziando” il territorio.
L’obiettivo era creare un’Architettura che si sarebbe fatta “Landkmark”, un esempio di Brand Architecture, col compito di trasmettere i valori della famiglia, mescolare tradizione e contemporaneità, usare materiali del territorio essendo capace di “reinventarsi”, esaltando le scelte progettuali e risultando impattante il meno possibile, essendo un’impronta ammirabile ma quasi invisibile.

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Cantine Antinori: gli “attori” del progetto

Prima di raccontare la storia del progetto, raccontiamo i due principali attori.

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Gli Antinori sono una famiglia patrizia arrivata a Firenze nel 1183 e che nel periodo De Medici si è dedicata alla seta, alle banche e alla politica, passando poi nel 1385 alla produzione vinicola, continuata fino ai nostri giorni.
Oggi la famiglia Antinori è composta dal Piero e le sue tre A: Albiera, Allegra e Alessia, che hanno seguito la leadership del progetto.

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Lo Studio Archea nasce a firenze nel 1988 da Marco Casamonti, Laura Andreini e Giovanni Polazzi, con l’associazione, l’anno dopo, di Silvia Fabi.
I progetti dello studio sono iconici e variegati. Ciò che contraddistingue lo stile dello studio è l’uso dei materiali e dei colori tradizionali in chiave contemporanea e il proporre facciate innovative. Lo studio ama sperimentarsi in sfide architettoniche sempre nuove.

Lo studio Archea ricorda che l’Italia è sempre stata un territorio antropizzato, e che non si deve temere di modificare il paesaggio, ma lo si deve fare con rispetto, puntando ad un’architettura “generosa”. Costruire male è un delitto, costruire bene è valorizzare. Tutto dipende, quindi, dall’etica e dal valore di progettista e committente.

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Cantine Antinori: la genesi del progetto

La famiglia Antinori aveva, quindi, scelto una zona viticolo-collinare tra Firenze e Siena, nel comune di Bargino. La cantina è stata pensata in prossimità di un asse infrastrutturale che connette Siena e Firenze.

La cantina, per tradizione, deve essere protetta, ed è per questo che lo Studio Archea fa una proposta di cantina totalmente ipogea, cimentandosi per la prima volta in un progetto di questo tipo, in modo da creare un’architettura, parzialmente celata alla vista, dialogante col contesto e con la tradizione, mimetizzata nel territorio.

Per i tagli i progettisti si sono ispirati ai Concetti Spaziali” di Lucio Fontana.
Un’esigenza del committente, sia pratica che concettuale, era che gli ambienti fossero disposti dall’alto verso il basso, seguendo la produzione del vino.

In ordine, abbiamo nei locali più in alto la ricezione e la lavorazione delle uve, la vinsantaia, l’orciaia, i locali tecnici e il ristorante.
Scendendo più in basso, vi sono gli uffici amministrativi.
Ancora più in basso, troviamo la presidenza, la vendita al dettaglio, la sala degustazione, il museo, l’auditorium e la reception, dietro alla quale troviamo il cuore del progetto: la barricaia, comunicante da un lato con la tinaia e dall’altro con la bottaia e la riserva della casa.
Ancora più in basso i parcheggi e la zona carico e scarico, in modo da limitare l’impatto visivo e nascondere tutto “dentro” la collina.

All’esterno vi è un elemento sia funzionale che iconico: la possente scala elicoidale, elemento di comunicazione verticale sovrastato da vigneti pensili.

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Il team e la storia del progetto e del cantiere

La progettazione richiedeva un team estesissimo di persone: 100 persone tra cui 50 architetti, che hanno lavorato in tandem nello stesso ambiente, per un’integrazione completa tra parte progettuale, strutturale ed impiantistica.

Dopo un anno di progettazione, l’idea è stata presentata al Marchese, che l’ha inaspettatamente accolta da subito con entusiasmo.

Nel 2007 sono iniziati i lavori, che hanno richiesto degli scavi molto invasivi. Sono stati sollevati 400.000 metri cubi di terra, per un progetto che richiedeva 49.000 metri quadrati, ampio 12 ettari e profondo 15 metri. Il terreno rimosso è stato, però, in gran parte riutilizzato e impiegato nella costruzione.

Purtroppo, a causa di un imprevisto non considerato nelle iniziali analisi geologiche, la terra ha “protestato” e ciò ha causato il fermo di un anno del cantiere.
Non si erano considerate delle concrezioni calcaree dovute a delle falde acquifere non previste, e in più il terreno si era inclinato a causa di una faglia sismica.

L’argilla, materiale che compone il 40% del terreno, risaputamente elastico, poco denso e difficilmente penetrabile, non è raro che si ritiri, ed ha quindi fatto si che la collina si rigonfiasse e i pilastri si torcessero.

Il cantiere e la costruzione hanno quindi richiesto delle opere di messa in sicurezza: pozzi profondi 35 metri connessi ad una condotta posta alla quota più bassa in modo che facesse drenare l’acqua e dei dreni sulla parete verticale del diaframma. E’ stato inoltre rinforzato il sistema dei tiranti.
Sono stati quindi impiegati 17000 pali di ancoraggio alla struttura a 30 metri e 9 km di strutture di ancoraggio.
I pali ad elica usano una particolare tecnologia: mentre il palo risale, viene iniettato il calcestruzzo e, contemporaneamente, calata una gabbia metallica. La tecnica è stata scelta perché è compatibile con le profondità del progetto (dai 10 ai 22 metri) e coi diametri di 84 cm.

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Le difficoltà già dalle primissime fasi cantieristiche hanno comportato l’impiego di una sofisticata tecnologia ingegneristica e il ritardo di un anno, che ha avuto conseguenze sul budget e ha creato non pochi momenti di tensione, risolti da una committenza davvero lungimirante, che ha concluso che, come il buon vino, anche la terra avrebbe dovuto riposare per un anno.

Nel 2008 la terra aveva avuto il tempo riassestarsi e il lavori hanno ripreso.
Le parti che dovevano sostenere grandi carichi sono state fatte in calcestruzzo armato, i aggetti in acciaio e le altre parti prefabbricate: tante tecnologie per tante esigenze diverse, ma tutte compatibili con ambiente e contesto. L’apparente “scontro” tra natura e artificio si è quindi concluso in modo armonioso.

Nel 2009 l’opera aveva già preso forma.

Fonte

Programma Cantina vinicola – Uffici
Luogo Bargino, San Casciano Val di Pesa, Firenze – Italia
Progetto 2004-2013
Committente Marchesi Antinori S.r.l.
Prezzo 67.000.000 euro
Impianti Stefano Mignani, Paolo Bonacorsi – M&E S.r.l.
Impianti enologici Stefano Venturi – Emex Engineering
Engineering Paolo Giustiniani – Hydea S.r.l.
Impresa INSO S.p.A.
Strutture Massimo Toni – AEI progetti S.r.l.
Superficie Lotto 13 ha – sup. coperta 28.000 mq
Superficie Costruita 49.000 mq
Volume 287.260 mc

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Cantine Antinori: i materiali

La danza tra tradizione e innovazione continua tramite la scelta dei tre materiali di cui il progetto è composto: laterizio, acciaio cor-ten e legno.

Il laterizio del territorio dell’Impruneta è noto fin dall’11 secolo,tanto che vi era anche una corporazione di artigiani dediti alla terracotta. Brunelleschi scelse questi laterizi per la sua cupola. Si tratta di un’argilla che ha grande resistenza a flessione e ai fattori atmosferici.

Questo materiale è stato impiegato sia all’esterno che all’interno, per pavimenti, pareti e coperture.
Per la lavorazione e la cottura si sono scelte tecniche simili a quelle già usate nel rinascimento: estrusione, essiccamento, cottura a 9990 gradi.
La terracotta è il fil rouge di tutto il progetto, e viene impiegata anche nell’elemento più importante del progetto: le volte della barricaia.

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La tecnologia delle strutture della barricaia è stata sostituita rispetto al progetto originale, per via dell’aumento dei costi e della riduzione dei tempi.

Non vi è stata una posa in opera tradizionale come inizialmente previsto, ma si è costruito un grande invaso prefabbricato per “contrastare” il terreno (3000 km/mq) e ad esso sono state “appese” le volte e le sue centine in acciaio, e infine le terracotte, pezzi su misura incastrati a secco (l’architetto aveva pensato questo mattone “svuotato” all’interno dopo un confronto col produttore. Termina il processo lo spruzzo del calcetruzzo. L’impiego di questa tecnica ha consentito di risparmiare la metà del budget previsto, ed è stata ispirata dal Brunelleschi stesso, che aveva usato tecniche per favorire la cantierizzazione.

L’utilizzo di una “doppia calotta”, indipendente strutturalmente dalla prima, consente anche, grazie all’intercapedine, il mantenimento dei 17 gradi, senza l’uso di impiantistica.
Essendo una tecnica nuova e “inventata” per l’occasione, sono stati necessari dei test per garantirne la “durata”.

Il rivestimento esterno è stato pensato come leggerissimo per non aggravare la struttura. La colorazione, per i mattoni esterni, è stata pensata marrone per dialogare col colore dei terreni.

Anche il calcestruzzo armato è un materiale impiegato nel progetto. In particolare si tratta di un calcestrruzzo gettato in opera e faccia a vista, a cui, ad una fase avanzata del processo di lavorazione, sono stati inseriti dei pigmenti.

Un materiale principe del progetto è l’acciaio Cor Ten, un acciaio “bassolegato”, in cui, sotto la quantità del 5%, sono presenti manganese, nichel e cromo con lo scopo di migliorare le prestazioni, tramite una patina passivante che rallenta, e in alcuni casi impedisce, la corrosione. Questo materiale, il cui nome è una contrazione di “corrosion resistance – tensile strenght”, è stato inventato nel 1933. Di questo materiale sono rivestite le grandi bucature sulla sommità, i serramenti esterni a taglio termico, le porte interne, ed alcuni arredi fissi.

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E’ in cor-ten anche la scala elicoidale. Lunga cento metri, pesante cento tonnellate, richiama le scale monumentali del periodo barocco.
E’ una spirale in vari raggi con porzioni calandrate. Al centro c’è un “pennone”, un “fuso”, di forma non cilindrica ma creata ad hoc, che parte da terra e arriva fino alla copertura. L’elica si sviluppa verso l’alto ed è stata saldata in opera.
Essa ha la funzione di controbilanciare l’orizzontalità delle due fenditure oblunge, protese in senso orizzontale.

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Anche il legno è un materiale protagonista del progetto. L’auditorium, ad esempio, è di legno non trattato. Tutti i materiali sono anche ripresi nell’arredo e negli interni creando una continuità di colori e temi.

Un altro “non materiale” impiegato nel progetto è l’elemento luce.
Dalla facciata penetra una luce radente, mentre la luce è soffusa negli ambienti dedicati alla produzione del vino (la barricaia).
Sul tetto vi sono delle bucature circolari, trenta fori sulla copertura verde pensile, che dànno una luce zenitale che rende gli interni più luminosi a dispetto di quello che si potrebbe pensare.

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Il cerchio è una forma centrale in questo progetto.
La linea curva richiama le colline toscane stesse. Il cerchio è ripreso anche nell’opera di scultura contemporanea dell’artista Yona Friedman, composta da 500 cerchi in acciaio che compongono figure astratte

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Cantine Antinori: il Layout distributivo

L’ingresso alle cantine è il punto in cui i flussi dei lavoratori e dei visitatori si separano.

La barricaia è stata pensata come un ambiente sacrale, per la cosiddetta barrique, botti da 225 litri ciascuna, disposte in due navate sormontate dalle due volte in laterizio precedentemente descritte.

Grazie all’inerzia termica, vengono garantite molte condizioni termoigrometriche, come la temperatura di 17 gradi necessaria tutto l’anno senza l’apporto di condizionamento dell’aria. Viene quindi sfruttata l’energia della terra per raffrescare il vino. Questo dona al progetto l’ecocompatibilità sia tecnica che concettuale.
Su di essa, le sale di degustazione, a sbalzo sulle botti.

Nascoste, invece, alla vista dei visitatori, sia la bottaia che la riserva della casa, che conserva i vini più pregiati della collezione di famiglia.
Tramite la passerella, si giunge alla Tinaia, che contiene i tini, di alta tecnologia, e rappresenta un mix tra il mondo industriale, quello contadino, quello maggiormente etereo relativo alla produzione dei vini.

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Oltre alla scala principale, vi è una seconda scala, anch’essa tecnologicamente evoluta, in quanto viene retta dal suo stesso parapetto. Viene chiamata “a farfalla” per l’effetto visivo che si genera guardandola dall’alto.
Accanto alla barricaia vi è un museo con pergamene e altre antichità, tra le quali spicca un torchio progettato da Leonardo Da Vinci. A pochi metri troviamo l’auditorium.
L’estradosso è piantumato, come richiesto dal committente, con le viti, in modo iconico, comunicativamente e produttivamente, creando un rapporto simbiotico con la terra, la quale consente la produzione del vino, e a cui la cantina è “grata”. La copertura fornisce inoltre un osservatorio privilegiato sul paesaggio delle colline del Chianti.

La famiglia Antinori non dimentica il rapporto col pubblico: vi è un ristorante dove è possibile degustare l’olio, il vino, il vin santo e altri prodotti tipici. Organizza anche mostre d’arte, eventi culturali, approfondimenti sulla storia della famiglia.

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La Toscana, luogo dalle mille risorse architettoniche, storiche, geografiche e culturali, artistiche, oggi ospita questo progetto meraviglioso e da visitare, che esalta l’identità del vino Antinori, ma anche quella tipicamente italiana.

fonti:
https://www.gamberorosso.it/it/it-home/329821-vino
https://www.isplora.it/Projects/antinori

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In particolare consiglio di vedere e acquistare questo videodocumentario, che è stata la principale fonte del mio articolo, e che può darvi qualcosa che parole e immagini non possono trasmettere.

autore: Irriverender Bonnì, architetto e formatore

Leggi anche: Curriculum, lettera di presentazione e colloquio di lavoro architetto: 5 utili consigli


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