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Fotografia dell’Architettura ed Approccio Umanistico, ce ne parla l’Arch. Cristina Fiorentini

Fotografia, Architettura, Fotografia dell’Architettura, “Approccio Umanistico”: ce ne parla Cristina Fiorentini, Architetto e Fotografa Professionista.

Ciao Cristina, parlaci della tua formazione e di come poi sei arrivata alla tua professione.

La passione per la fotografia è nata durante il liceo artistico, in seguito ad un corso pratico in camera oscura….ebbene sì, erano ancora quei tempi! Oggi parlare di pellicola e stampa su carta sembra riportare il tempo al pleistocene. Negli anni dell’adolescenza ho scattato le prime immagini con una macchina fotografica analogica, sviluppavo e stampavo le prime immagini in bianco e nero e per me era motivo per sperimentare il mio linguaggio.

In seguito ho frequentato e conseguito la laurea in Architettura al Politecnico di Milano, consapevole che non avrei fatto l’architetto, in realtà avevo scelto questa formazione per avvicinarmi al mondo dell’architettura, in particolare all’abitare.

Per mantenermi agli studi sono riuscita a trovare un lavoro part-time come assistente in uno studio fotografico e, durante i quattro anni di università, ho avuto modo di sperimentare diversi campi della fotografia.

Terminati gli studi, metto la laurea nel cassetto e apro la partita iva, convinta di voler essere libera di decidere e muovermi in autonomia. Gli inizi sono stati duri, specialmente dal punto di vista economico perché, oltre a dovermi costruire la clientela, ho dovuto investire nell’attrezzatura di base, allora costosissima.

Grazie all’incoscienza ed energia della gioventù ho superato i primi ostacoli, la professione si è delineata nel tempo.

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C’è un fil rouge tra formazione e professione, ma quanto ha fatto anche, in questo tuo percorso, la passione?

La passione è determinante ma nel mio caso coinvolge due ambiti che io non riesco a scindere tra loro: la fotografia e gli spazi abitati. Fotografare per me significa osservare come e dove vivono le persone. Mi ritengo fortunata perchè in trentadue anni di professione non ho ho perso l’entusiasmo, ancora oggi per me è un piacere l’aspetto della ripresa sul campo e ripaga le difficoltà che ogni lavoro comporta.

Qual è la firma stilistica che hanno le tue fotografie d’architettura?

Quello che vorrei non è esattamente quello che mi viene richiesto dalla committenza. Lavoro principalmente per le riviste di architettura e arredamento, spesso ci sono canoni di ripresa da rispettare, linguaggi da soddisfare, sponsor da gratificare, le case che fotografo possono subire re-styling ad hoc che ne snaturano l’autenticità.

Cerco almeno di essere fedele all’atmosfera, lavoro solo a luce naturale, specie da quando si lavora in digitale, prima non era sempre possibile perché le pellicole viravano di colore se utilizzavo pose troppo lunghe. L’avvento del digitale è stato di grande aiuto al mio settore; sebbene tendo a non esagerare con il fotoritocco, ammetto che la post-produzione ora consiste nel 50% del lavoro. Tornando alla domanda: spero che le mie immagini siano quanto più fedeli al carattere della casa e, di conseguenza dei suoi abitanti.

Come potresti descrivere il tuo “approccio umanistico”?

Mi piaceva e mi piace stare negli spazi abitati, mi attrae osservare come vivono le persone.

Aver modo di “abitare” , magari solo per qualche ora, le case che ho fotografato, ha allenato la mia capacità di percepire la vita vissuta in quegli spazi. Ho imparato che le case esprimono diverse personalità, diversi bisogni, diversi momenti della vita, diverse età, luoghi geografici, culture, stati sociali.

Poter attingere “sul campo” ad un patrimonio umano tanto vasto e ricco di spunti, mi ha sempre affascinato e portato a sentire le molteplici relazioni che si innescano tra la casa e i suoi abitanti. Un mondo ricco di sfumature che sottendono relazioni, atteggiamenti, emozioni, aspettative, disagi, la vita insomma…

Qual è la tua strumentazione?

Ho una vecchia Canon 5D Mark2, vecchia di qualche anno, rispetto agli standard del mondo digitale sarebbe da sostituire con modelli più recenti e performanti. In realtà non ho mai dato troppa importanza all’attrezzatura, la considero un mezzo, un compagno fedele di avventure da trattare bene perchè ti restituisca ciò che ti serve. Anche gli obbiettivi sono datati ma ancora efficienti perchè ben conservati (buone custodie per il trasporto, pulizia costante, controlli tecnici periodici, nessun prestito ad amici e colleghi). Per l’architettura sono fondamentali gli obbiettivi decentrabili, anche se oggi la post-produzione può rimediare al recupero dell’asse ortogonale, trovo che sia tutta un’altra storia vedere l’inquadratura corretta già in fase di ripresa.

In analogico utilizzavo flash monotorcia di supporto, ora in digitale riprendo a luce naturale, magari avendo la pazienza di aspettare giornate soleggiate o la luce più adatta.

Anche un buon Mac fa parte del mio corredo….anche quello vecchio ma fedele a tutto quello che mi serve, dò più importanza agli aggiornamenti dei software. Non rincorro le offerte del mercato, un po’ per una questione di budget, ma anche perchè mi limito a ciò che mi serve davvero.

Che strumentazione consigli, per iniziare, a un giovane che voglia cimentarsi?

Vale lo stesso concetto: concentrati su ciò che ti serve, ogni settore ha la sua strumentazione dedicata, non serve avere il meglio sbandierato dal mercato, il tuo “meglio” lo stabilisci tu, magari informandoti attentamente sulle caratteristiche tecniche. Diffida degli slogan delle case produttrici e affidati a schede tecniche fedeli alle effettive prestazioni del prodotto. Oggi ci sono anche i blog da cui si possono trarre preziose informazioni.

Recentemente hai approfondito la disciplina del counseling: c’è un legame con la tua identità di architetto e fotografa d’architettura?

Mi sono iscritta ad una scuola di counseling in seguito a una impasse lavorativa, l’editoria ha subìto molte trasformazioni negli ultimi anni e io mi sono chiesta dove volessi andare, se fossi davvero disposta ad eliminare tutta la mia esperienza lavorativa e, soprattutto, se non sentissi più la passione che mi aveva coinvolto fino a quel momento. Invece di lasciare alle spalle le mie esperienze, sentivo il bisogno fare una sintesi, rimodellare conoscenze e passioni per creare una nuova forma, ovvero un nuovo lavoro.

Dopo tanti anni di fotografie degli ambienti, l’anello mancante del mio peregrinare nelle case degli altri, riguardava proprio il portare in rilievo il mio sguardo nascosto, uno sguardo che fino a quel momento era rimasto ad osservare, incuriosito ma silenzioso, timoroso di interpretare.

A quel punto mi sono resa conto che non mi bastava più stare ad osservare, percepivo il bisogno di entrare in relazione con l’altro, di fargli da specchio su ciò che vedevo. Ciò che mi mancava era un approcio adeguato per ascoltare con consapevolezza, senza giudizio, con gli strumenti adatti a rendere utile ciò che mi proponevo di fare.

La decisione di frequentare un corso triennale di counseling è stata stimolata dal desiderio di dare voce, di ascoltare le persone che vivono nelle loro case per accompagnarle ad essere più consapevoli e dunque più partecipi nella progettazione del loro spazio privato. Oltre alla progettazione, il counseling abitativo si occupa di dubbi, stati di crisi, problematiche relative al tema casa, in termini di spazio e/o persone.

Che ne pensi della fototerapia?

Sono un’entusiasta sostenitrice della fototerapia, ho letto molti libri al riguardo e mi sto preparando per introdurla nel mio approcio per il counseling abitativo. Si aprono mondi creativi tutti da esplorare a fianco delle persone.

Ci sono tecniche sperimentali che generano un sodalizio tra le tue poliedriche attività artistiche e introspettive?

Direi proprio di sì, anzi considero questa mia nuova attività di counselor abitativo totalmente sperimentale, ancora tutta da costruire eppure così chiara dentro di me. I riscontri positivi che arrivano dai miei clienti mi lasciano sperare di essere su una buona strada.

La bioenergetica, che si occupa del corpo, e la Gestalt, con il focus sulle emozioni, fanno parte della mia formazione come counselor ma ci aggiungo l’esperienza di trent’anni di riprese nelle case, l’amore per lo spazio e la convinzione che in ogni persona c’è una parte di creatività da scoprire. Le tecniche, gli esperimenti, l’immaginazione da mettere in campo sono infiniti.

Come fotografa usi dei software di postproduzione per le tue foto? se si, quali? ci sono delle alternative open source?

Da sempre sono fedele a Photoshop, Lightroom e Bridge, li aggiorno costantemente ma non li cambio, non sono una fanatica dell’informatica. Per me i programmi devono limitarsi a svolgere il lavoro che mi serve. Non ho interesse ad applicarmi in quello che sento un mondo infinito di informazioni e possibilità che, però, mi porterebbero fuori stada rispetto ai miei interessi. Quando occorre mi affido a bravi specialisti del settore, spiego loro cosa mi serve e mi semplifico la vita. Mi dispiace ma non riesco a suggerire alternative che non ho sperimentato.

Ti sei mai cimentata nella modellazione e nei render? e cosa provi, da fotografa, quando osservi il rendering di un collega?

Vale il concetto della risposta precedente, non ho mai avuto curiosità per cimentarmi con i render, riconosco il loro valore per la restituzione di progetti, ma per me riguarda un aspetto tecnico. Il mio approcio alla fotografia è più umanistico, per me ha senso proprio “stare” fisicamente nel luogo che riprendo, sentire con il corpo le sensazioni che provo.

Se dovessi aver bisogno di un render mi affiderei ad uno specialista, credo nell’alleanza di professioni.

La tua vita è piena di stimoli, ma non ti torna mai voglia di progettare?

Ho studiato architettura ma già all’università sapevo che non avrei fatto l’architetto, mi interessava la materia in sé, ma sentivo troppo invasivo l’intervento di progettazione nelle case degli altri, almeno per come viene insegnata. Non sono affatto contraria al ruolo degli architetti, quelli bravi per me sono quelli che rispettano chi abita lo spazio che progettano, inoltre assolvono aspetti tecnici insormontabili per un non addetto ai lavori. Quello che manca, a mio avviso, è una maggior partecipazione dei diretti interessati, gli abitanti sono i veri protagonisti e devono dar voce alle loro esigenze e alle loro preferenze.

Oggi, con il counseling dell’abitare, posso dire di aver chiuso il cerchio: accompagno le persone a progettare da sole il loro spazio, ad essere consapevoli dei loro bisogni riguardo alla casa, a rimodellare le cose di cui si circondano. Un modo nuovo di progettare? Forse l’unico in cui abbia sempre creduto.

Cristina, appassionata di fotografia e di architettura, consegue la laurea in Architettura nel 1984, al Politecnico di Milano.
Nel 1985 inizia a lavorare come fotografa indipendente, collaborando con le numerose testate dedicate al settore dell’architettura, dell’arredamento e del design,

attività che svolge ancora oggi con passione. La sua specializzazione riguarda la ripresa di abitazioni private, che osserva con occhio umanistico, convinta che gli ambienti rappresentino un connubio tra la natura di chi li abita e il contesto a cui appartengono.

La recente formazione in counseling la sta portando ad estendere la professione di fotografa di case verso tecniche sperimentali di coinvolgimento degli abitanti, una sorta di percorso di consapevolezza di chi abita reso per immagini.

Questo aspetto del suo lavoro è in fase sperimentale, sarà materia della sua tesi presso SIBIG (Scuola Italiana BioGestalt) nel mese di maggio.

Dopo l’estate 2017 diverrà parte integrante della sua professione.
Il suo sito è www.cristinafiorentini.it

intervista di: Irriverender Bonnì, architetto e formatore

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