Se oggi un artista lanciasse un manifesto urlando “abbasso il passato!”, lo metteremmo in pausa su Instagram e lo cancelleremmo in 3… 2… già fatto. Ma nel periodo del futurismo, un secolo fa, l’idea di prendere a calci musei, accademie e buongusto era considerata avanguardia. E pure benedetta.
Il futurismo come periodo storico è stato una bomba a orologeria lanciata nel salotto buono dell’arte. Una scossa elettrica con la firma di Filippo Tommaso Marinetti, poeta con la penna carica a nitroglicerina e la passione per il rumore. Letteralmente.

Gli artisti del futurismo erano più punk dei punk
Altro che Banksy. I pittori futuristi come Balla, Boccioni, Carrà, Severini e compagnia bella (ma non troppo) erano già fuori di testa nel 1910. Sognavano città verticali, automobili rombanti, treni a vapore che si fondevano con i corpi umani. Non per amor di metafora: nei loro quadri futuristi, lo facevano davvero.
Le opere futuriste non sono rilassanti da guardare. Sono un pugno in un occhio, ma con stile. Un esempio su tutti? Dinamismo di un’automobile (1912): non è un’auto, è un’allucinazione motorizzata. Linee che corrono, velocità che vibra sulla tela, e tu che pensi: “sto guardando un quadro o sto per essere investitə?”.
Quadri futuristi: quando l’arte scopre il NOS
I dipinti futuristi sono il corrispettivo artistico del Fast & Furious di inizio Novecento. Prendiamo Forme uniche nella continuità dello spazio di Boccioni: una scultura, sì, ma praticamente un Transformer ante litteram.
Il punto non era rappresentare la realtà, ma stirarla, schiacciarla, accelerarla. Come se il mondo stesso fosse finito su una pista da corsa. Lì dove l’occhio non può arrivare, arriva il futurismo: esagera i movimenti, li moltiplica, li incastra.
Insomma, altro che quadretti con la frutta.

Opere del futurismo: uno schiaffo al “buon gusto” borghese
Le opere del futurismo hanno una cosa in comune: fanno casino. A livello visivo, concettuale e spesso anche morale. Perché sì, erano anche politici, questi artisti futuristi. Alcuni, purtroppo, finiranno per flirtare con ideologie che oggi ci fanno più che giustamente accapponare la pelle.
Ma ridurre tutto il futurismo e le opere d’arte a propaganda sarebbe come dire che Internet serve solo per i gattini. Vero in parte, ma molto, molto limitante.
Periodo futurista: breve, intenso, rumoroso
Il periodo futurista dura poco, ma brucia tanto. Dal 1909 (anno del primo Manifesto Futurista su Le Figaro) agli anni Venti, il movimento si frammenta, si ibrida, esplode. Diventa architettura, moda, poesia, persino pubblicità.
E poi? Poi si dissolve, come ogni meteora. Alcuni futuristi e le loro opere finiscono nel dimenticatoio. Altri, nei musei. Ma l’eco delle loro idee lo ritrovi ovunque: nella grafica delle copertine punk, nel design automobilistico, nei videoclip psichedelici.

Pittori del futurismo: ritratti d’autore in overdose da modernità
Facciamo un rapido giro tra gli artisti del futurismo (o meglio, gli ossessionati dalla velocità):
Umberto Boccioni: cervello in fiamme, morto troppo presto, lasciando capolavori e sculture che sembrano fatte di vento.
Giacomo Balla: con Velocità astratta e Linee-forza del pugno, trasforma il movimento in pura energia visiva.
Carlo Carrà: prima futurista, poi metafisico. Uno che non si accontentava di una sola rivoluzione.
Gino Severini: porta il futurismo a Parigi e lo contamina con il cubismo, creando cocktail visivi a 100 gradi alcolici.
Questi pittori futuristi non volevano solo dipingere. Volevano ricostruire l’universo, ma in versione turbo.
Futurismo e opere d’arte: figli della macchina, fratelli della città
Il futurismo e le opere d’arte che ne derivano sono il canto d’amore per la macchina, la metropoli, il rumore. Tutto ciò che per l’arte accademica era anatema, per loro era musa.
E se ti sembra strano trovare poesia in un tram o in un motore, benvenutə nel club. Il futurismo ha insegnato che anche l’industria può commuovere, se la guardi con l’occhio giusto. E magari dopo un paio di caffè.
Conclusioni futuristiche (ma con i piedi nel presente)
Oggi il futurismo non lo trovi solo nei libri d’arte: lo vedi nei loghi glitch, nei font distorti, nelle pubblicità che ti urlano addosso. È diventato parte del nostro DNA visivo, anche se non ce ne rendiamo conto.
Quindi la prossima volta che un’opera ti sembra “troppo” – troppo rumorosa, troppo veloce, troppo incasinata – pensa ai futuristi e alle loro opere. Forse ti stanno solo ricordando che il futuro è sempre in corsa. E che l’arte, quando frena, è già vecchia.
Se ti è piaciuto l’articolo, condividilo con chi ama l’arte con le marce alte e le idee impennate. Oppure con chi pensa che i musei siano posti noiosi: magari, dopo un giro nel futurismo, cambierà idea. O finirà investitə da un quadro. In ogni caso, sarà uno spettacolo.





